L'arte della memoria, uno studio di Daniele Vinci
CAGLIARI, 8 marzo 2023 - È uscito di recente un testo sulle mnemotecniche e l’arte della memoria ad opera di Daniele Vinci, docente di Metodologia della ricerca e Antropologia filosofica alla Facoltà Teologica della Sardegna. Il volume nasce dall’esperienza condivisa dei laboratori sulla memoria e offre un percorso che, passo dopo passo, introduce il lettore a un’arte antica ma sempre attuale. Le pagine sono arricchite da numerose immagini che illustrano il testo e allo stesso tempo stimolano la memoria visiva e il ricordo.
Nella seconda parte vi è un’ampia antologia di testi, introdotti e commentati, che ripropongono alcuni classici su questo tema, a partire dall’antichità, passando per il medioevo fino al rinascimento e alla modernità. In questa intervista l’autore spiega le ragioni che stanno alla base di questa sua ricerca.
Professor Vinci, ma davvero è possibile migliorare la propria memoria con una semplice “tecnica”?
“Questa è una domanda antica. Ci si è sempre chiesti se la memoria sia un dono di natura oppure un metodo. Ci sono quelli che pensano che sia un dono di natura: i “memoriosi”, o gli “smemorati incalliti”. Dall’altra parte, invece, c’è la tradizione antica dell’Arte della memoria che pensa, sì, che esistano persone naturalmente dotate di un a memoria forte oppure, al contrario, persone con una memoria debole. Ma pensano anche che l’”arte”, ossia la mnemotecnica, rafforzi la natura precisamente imitandola.”
Detta così sembra quasi una medicina miracolosa?
“Ovviamente no. L’arte non può creare ciò che non c’è. Ma può rendere forte ciò che è debole. Anzi dico di più: chi la coltiva può superare quelli dotati naturalmente. I cosiddetti “campioni della memoria”, quelli che vincono le competizioni, dicono spesso che la loro memoria naturale è del tutto normale. In realtà, hanno lavorato tanto su di sé, hanno utilizzato dei metodi.”
Ma qual è lo scopo di tutto questo: la performance? Oppure c’è dell’altro?
“È vero che oggi l’arte della memoria è impostata molto sul versante agonistico. Ed è anche vero che è spesso stata utilizzata come spettacolo: come qualcosa che stupisce. Ma io sono convinto che questa impostazione non tocchi ciò che è veramente importante.”
Che cos’è importante allora?
“È il processo dell’apprendimento in se stesso. Scoprire come “abitare la propria memoria”. In altre parole, fare della propria memoria la ‘casa’ dove si abita.”
È un concetto affascinante, ma ci spiega ancora più da vicino come avviene tutto questo? Come cambia una persona che, poniamo segue un suo laboratorio sull’arte della memoria?
“In genere chi coltiva la propria memoria dipende sempre meno da ciò che è esterno a lei o lui. Una delle massime storiche di questa arte è infatti: Omnia mea mecum porto. I laboratori sono un’occasione per scoprire le mnemotecniche e le particolarità straordinarie della propria memoria. Sono uno spazio di condivisione dove si scopre che la nostra memoria è diversa da persona a persona: risponde, sì, a leggi universali, ma ogni persona è unica. E ci sono anche dei risultati concreti! Chi frequenta i laboratori impara a gestire meglio la propria memoria, è più efficace negli esami ma soprattutto acquisisce fiducia in se stesso e nella propria identità.”
Ci dice un aspetto particolare che si impara in tutto questo processo?
“Una delle virtù principali che si apprendono è quella di avere pazienza con la propria memoria e con se stessi. La memoria ha un effetto di latenza. Se le do tempo lei mi restituisce con gli interessi quello che le ho chiesto. Uno studente dei miei laboratori una volta mi ha detto: ‘Ho imparato che la memoria non è una nemica, ma è un’amica’.” (red)